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4/5 (sur 1 notes)

Nationalité : Italie
Biographie :

Franco Rotelli a participé en première ligne au travail collectif qui se eut lieu à Trieste et transforma la psychiatrie publique. Arrivé à Trieste à la suite de Franco Basaglia, il en assura le poste de directeur de la psychiatrie triestine en 1980, quand Basaglia quitta la ville. Il exercera jusqu'à la fin des années 90 ; lui succédera Peppe Dell'Acqua.
Dans les années 2000, il assura la direction de plusieurs Aziende sanitarie, devint consultant pour la région Friuli Venezia Giulia et en 2013 Presidenza della Commissione Sanità du Conseil Régional du Friuli Venezia-Giulia.

Source : http://www.edizionialphabeta.it/it/Franco_Rotelli/319/info
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Citations et extraits (12) Voir plus Ajouter une citation
Siamo convinti di aver fatto buone cose che vale quindi la pena raccontare, bene o male che sia.
Perché, purtroppo, il lavoro è appena incominciato, e il mondo delle psichiatrie in giro per il mondo continua ad essere molto, ma molto brutto, e quello della sanità dovrebbe essere molto, ma molto meglio.
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Con la porta aperta ha perso significato anche la comunità terapeutica, che ha avuto solo una funzione temporanea, è stata vanificata dalla ricerca del diritto soggettivo alla salute. E questo un tratto caratteristico dell'esperienza triestina : avere evitato la psichiatria sociale che per molti paesi è stato l'alibi per non chiudere i manicomi. Ci siamo concentrati sull'umanizzazione, disarticolazione e chiusura del dispositivo di accesso a quell'orrenda Istituzione Sanitaria chiamata Ospedale Psichiatrico. Abbiamo ripulito gli strumenti "diagnostico-terapeutici barbarici" : porte chiuse, camerini, contenzione, elettroshock, coma insulinico, letto a rete, sbarre.

(Mario Reali)
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Ricordo due signore, abitanti ciascuna nella sua casa, nello stesso condominio di Campo San Giacomo. Seguite dal servizio anziani del distretto e dal servizio sociale del comune. Una era sorda, l'altra era cieca. Quando arrivavano i pasti del comune e il campanello suovana, la signora sorda non apriva perché non sentiva, la cieca faceva fatica ad arrivare in tempo ad aprire la porta del suo appartamento. Per questi inconvenienti, spesso entrambe saltavano il pasto. Le infirmiere decisero di mettere insieme, nello stesso appartamento, durante alcune ore della giornata, le due signore. Quando suonava il campanello per l'arrivo del pasto, la signora cieca avvisava l'altra, sorda, che andava ad aprire la porta. Entrambe hanno iniziato a mangiare tutti i giorni e in compagnia l'una dell'altra. Sembrerà una banale barzelletta. Non lo è. E un esempio, tra i tanti, della necessità e possibilità che gli operatori sanitari hanno di costruire comunità, cambiare l'assetto sociale e, incidendo sui determinanti, produrre salute.

(Maria Grazia Cogliati Dezza)
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Ma risulta del tutto evidente, discutendo in giro per l'Italia attorno a questo libro, quanto a rischio sia il bene "sanità pubblica", pur enorme patrimonio di cultura, etica, professionalità, tecnologia e organizzazione. Quasi ovunque centralismi dissennati e locali clientele. Una medicina di comunità tuttora assente quasi ovunque anche al nord : una pletora di ospedali, Aziende sanitarie sempre più ampie e sempre più decerebrate in una ricerca di infinite razionalizzazioni senza razionalità. Politiche di salute mentale assenti, psichiatrie spesso misere, a misere ideologie riferibili e ancora, sovente, reclusive : sempre più dimissionarie verso un privato mercantile onnivoro.
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I folli continuano a costituire la minoranza più oppressa nel mondo. Non è proprio il caso di affidare il loro destino al solo futuro delle scienze e/o della biologia molecolare. Occorrono organizzazioni, servizi, diritti.
Quanto alla legge 180 l'Italia si divide in 3: chi lavora per realizzare compiutamente i principi della legge, chi lavora per combatterla, chi (ed è la maggioranza "democratica"), pur aderendovi, la stravolge, la svuota di senso, di opere e fatti, la trasforma in vuoto feticcio: meglio i nemici della legge.

(Franco Rotelli, 1993)
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Quando arrivammo a Trieste, nel 1971, Basaglia ci sconvolse. Non gli interessava il nostro curriculum, cosa avessimo imparato all'università, quali altre esperienze avessimo fatto. Gli importava che fossimo tutti giovani. Non contaminati dalle psichiatrie. Che fossimo disponibili a stare in quella storia che stava per cominciare, di cui nulla sapevamo.
Tutti venimmo assegnati a un reparto. Inviati, disarmati, al fronte. A fare che? A dire cosa? Con quali strumenti? La risposta è ironica e disarmante , appunto: "non potete fare più danni di quanto è già stato fatto!"
Nella clinica universitaria napoletana avevo il camice bianco che mi costituiva e mi proteggeva, accennava a un ruolo, a un'appartenenza. Ero dottore.
Nel reparto dove sono stato mandato non importa a nessuno che sei dottore, camice bianco neanche a parlarne e devi guardarti dal pronunciare le parole della psichiatria che hai imparato. Parole che, appena dette, ti ritornano inadeguate, estranee, inutili, biffe. In reparto devi ascoltare. Nelle prime assemblee con gli internati devi ascoltare. Alla riunione delle cinque, la quotidiana riunione di fine giornata col direttore, devi ascoltare e cominci a capire che quanto hai imparato ti allontana; ti impedisce di ascoltare, di vedere, d'incontrare l'altro.

(Peppe Dell'Acqua, da "aut aut" n°357/2013, La diagnosi in psichiatria)
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Cosa è stata l'istituzione da negare? L'istituzione in questione era l'insieme di apparati scientifici, legislativi, amministrativi, di codici di riferimento culturale e di rapporti di potere strutturati attorno a un ben preciso oggetto per il quale erano stati creati : la "malattia" cui si sovrappose in più, nel manicomio, l'oggetto "pericolosità". Perché volemmo quella deistituzionalizzazione? Perché per noi l'oggetto della psichiatria puo e deve essere non quella pericolosità né questa malattia (intesa come qualcosa che sta nel corpo o nella psiche di questa persona). L'oggetto fu sempre per noi invece l'esistenza-sofferenza dei pazienti e il suo rapporto con il corpo sociale. Il male oscuro della psichiatria è stato l'aver costituito istituzioni sulla separazione di un oggetto fittizio, la malattia, dall'esistenza complessiva del paziente e dal corpo della società. Su questa separazione artificiale si sono costituiti degli insiemi istituzionali tutti riferiti alla "malattia". Occorreva smontare questi insiemi (negare quelle istituzioni) per riprendere contatto con questa esistenza dei pazienti, in quanto "esistenza malata". Allora le vecchie istituzioni andavano superate perché culturalmente, epistemlogicamente incongrue.

(Franco Rotelli, 1986)
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Matti da slegare. Un mondo intero da slegare. C'è ancora un mondo intero da slegare. C'erano i bambini dei brefotrofi, i pazzi dei manicomi, i vecchi negli ospizi, parole che nessuno già ricorda più, ma quando accadrà che qualcuno si stupisca che in passato si mettevano i vecchi a milioni in posti che si chiamavano senza umorismo alcuno "case di riposo"?
Ha [Mario Tommasini] combattuto per allargare a tutti il confine della democrazia laddove non ce n'era mai stata. Che sarebbe successo se molti di più avessero fatto altrettanto, piuttosto che accontentarsi di rinchiudersi nei confini di una minoranza egemone terrorizzata dalla "deviante maggioranza"? O sempre illividiti in guerre ideologiche senza mai nulla ardire di cambiare qui ed ora? Li dove stai, dovunque tu sia, fosse pure addirittura un manicomio o una galera?

(Franco Rotelli)
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La porta aperta ne è il significante principale : il Centro è una casa senza vere porte, aperta sulla Strada, dove chiunque puo entrare e uscire, e se stai male, sarai accompagnato, cercato, riagganciato a una relazione. L'operatore che accoglie abita quella soglia.

(Roberto Mezzina)
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Anche i cani, lo sanno tutti, più sono legati più mordono. Perché gli uomini dovrebbero essere diversi? [...] I manicomi dalla Rivoluzione Francese in poi sono stati fondati, con Pinel, nella speranza che le catene non servissero. Non è andata così.
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