Giovanna Gallio

Mentre in ospedale le emozioni devono essere continuamente filtrate e tenute sotto controllo, nel lavoro territoriale l'empatia svolge un ruolo fondamentale nel rapporto con il malato. Quando vai a visitare una persona nella sua casa, entrano in gioco le tue capacità professionali, ma non puoi lasciare fuori dalla porta il tuo modo di vedere le cose, la tua esperienza di vita. Al tempo di Basaglia gli infermieri non avevano una formazione professionale, e di certo non avevano una laurea; dovevano ricorrere alle risorse della loro personalità e del loro carattere per diventare dei bravi professionisti.
E un percorso di crescita che matura sul campo. Nel lavoro a domicilio si realizza qualcosa di simile: tutte le conoscenze e le tecniche che hai appreso vengono rimesse in gioco nell'incontro con l'esistenza del malato. Ogni volta qualcosa accade, di spontaneo, immediato e quasi istintivo, che ti fa entrare in relazione, e credo sia questa la carta vincente.

(Fabio Lisi, Storie di donne)

Non c'è un servizio che definisce il suo target di popolazione-utenza sulla base di una lista di prestazioni, ma interventi che si strutturano cammin facendo, attirando competenze e abilità che di volta in volta scoprono o "inventano" la soluzione a un problema. In questo modo di procedere si esalta la capacità degli operatori di saper usare tutto quello che trovano : il pulmino di non so chi, il montascale prestato da un'associazione di volontari, lo spazio della parrocchia o della scuola per organizzare un incontro, la professoressa in pensione che si fa aiutare da giovani un po' sbandati, il vicino di casa che di notte ascolta i rumori e le voci dell'appartamento accanto e diventa parte attiva del percorso di cura.

(Maria Grazia Cogliati Dezza, Lavoro di territorio e medicina di comunità)

Quando le persone vivono relazioni positive di scambio, si modifica il significato stesso che attribuiscono alla propria condizione. Molte barriere, minacce, paure, identificazione di nemici, difficoltà, inadeguatezze, insoddisfazioni che logorano le persone in tutti i loro ambienti di vita sono infatti "socialmente costruite", ovvero nascono dal modo di agire e di vedere la realtà che si è affermato in una determinata comunità, anche per l'assenza o il degrado di relazioni costruttive. In questo senso, si tratta di significati che possono essere modificati quando le persone imparano, cooperano, e cambiano le proprie pratiche sociali nella vita quotidiana.

(Giuseppe Costa, La salute disuguale)

Nella vita di ciascuno, se colta da vicino, possiamo trovare conflitti e miserie, bisogni insoddisfatti o inespressi, problemi che dal di fuori non si vedono.

(Franco Rotelli, Servizi che intrecciano storie)

Leggendo mi sono immaginato quante persone vivono cosi, trascorrendo il loro tempo davanti al televisore in uno stato di accettazione passiva e acritica, "disperata" nel senso di "priva di visioni alternative". L'inerzia la cogliamo nella dimensione istituzionale della vita di Walt, ma anche nella nostra. Potrei raccontare un'infinità di storie che mi riguardano, intitolate "domani". Domani vado dal medico, domani mi metto a dieta, domani chiamo quell'amico che non sento da tempo. Ma è un "domani" di trent'anni fa.

(Peppe Dell'Acqua, Storie di donne)

E la creatività la chiave di lettura dell'opera di Basaglia, nel superamento di un'istituzione chiusa e violenta che avviene grazie al fato di accettare l'anarchia della vita. Ed è stata la creatività di Franco Rotelli e di Carmen Roll ad aver permesso l'apertura delle microaree, nella sfida di incontrare la vita vera dei singoli territori che compongono la città. Se leggi le cose in questi termini non puoi andare a cercare le microaree da un'altra parte, non ci sono. Non potevano nascere che a Trieste, perché solo qui c'è un metodo di lavoro, un intero sistema di organizzazione delle attività di cura che, nel corso di alcuni decenni, ha consentito di far evolvere una realtà come questa. Se organizzi i servizi distrettuali con la rigidità dei protocolli, o se appalti i servizi privatizzandoli, non controlli più niente di quello che fai, non puoi più permetterti nessuno slancio creativo.

(Michela Degrassi, Fare comunità, tra l'istituzione e la vita)

Il medico che pratica la sua professione secondo lo schema del comprendere la diagnosi, e che si impegna nell'impostare la terapia nei minimi dettagli, in genere licenzia il proprio paziente con una frase di rito : "E se ci sono problemi o complicazioni noi siamo sempre qui". E una frase che tutti i professionisti usano, non solo i medici, in base alla quale si ha piena legittimità a deresponsabilizzarsi definitivamente nei confronti della persona. Frase auto-assolutoria, che suggella la propria estraneità davanti a qualunque problema o incidente si possa manifestare da quel momento in poi.
Il ragionamento opposto a questo, che mi piacerebbe sentir formulare più spesso, sarebbe : "Io non me ne vado, tanto per cominciare". Non dire : "Se c'è qualche problema io sono qui", ma dire : "Io non me ne vado dal problema", non vado via di qua perché il problema tanto per cominciare c'è, grande come una casa.

(Carlo Rotelli, La malattia del signor Walt)

Sopratutto non sapeva che anche la sconfitta, il fallimento e l'inerzia possono essere trasformati in relazione, ripresa di senso e quindi miglioramento delle condizioni di salute.
Se faccio in modo che il soggetto acquisisca strumenti per comprendere, metto cioè alla prova la mia capacità di coinvolgerlo in un progetto di cambiamento, solo allora posso parlare di libera scelta. A quel punto posso accettare anche il suo diniego alla cura, il rifiuto del ricovero o del farmaco. Posso cioè comprendere le ragioni di quella persona e del suo rifiuto di cambiare.

(Maria Grazia Cogliati Dezza, Lavoro di territorio e medicina di comunità)

Per quanto riguarda il rapporto degli operatori tra di loro, e tra i servizi e l'utenza, c'è a Trieste una vivacità, un calore, un'immediatezza di approccio che lavorando altrove non avevo mai sperimentato. Nelle altre città c'è più freddezza, una maggiore ritualità nell'esercizio della propria professione : ci si sente più vincolati alle procedure, ai protocolli d'intervento, e le prestazioni sono standardizzate.
Qui si va oltre tutto questo, si crea un terreno comunicativo ricco e vitale, meno strutturato in senso burocratico, e questo fa la differenza.

(Cristina Montesi, Microarea e lavoro distrettuale)

Il lavoro che si svolge in microarea non può essere solo assistenziale o solo sanitario, ed è questa l'invenzione originale : creare un conglomerato in cui tutte le dimensioni dell'intervento - mediche, psicologiche, sociali, culturali, educative - non restano dissociate come una sommatoria di funzioni, ma danno luogo a una realtà altra, di incontro e messa in relazione di tanti soggetti, ciascuno dei quali diventa protagonista del proprio percorso di salute.

(Cristina Montesi, Microarea e lavoro distrettuale)