Il rumore mi rapiva; il sentire andare tutta la fabbrica come un solo motore mi trascinava e mi obbligava a tenere con il mio lavoro il ritmo che tutta la fabbrica aveva. Non potevo trattenermi, come una foglia di un grande albero scosso in tutti i suoi rami dal vento. La gente non esisteva più ed io pensavo che per quanto nella fabbrica si lavori tutt’insieme, stretti nei reparti, con le fresatrici su tre file ad intervalli regolari, e così i torni e le presse, o tutt’in fila nelle catene di montaggio o nei controlli, o si mangi in tanti alla mensa e si viaggi tutti sulle corriere, è difficile poter avere delle compagnie e degli aiuti dagli altri.
Ecco, andavo dietro alle parole: il loro suono contava più di ogni altra cosa, più del loro senso, ed io finivo per ordirnarle o per trovarle o per inventarle secondo il suono, senza più l'ordine del significato e del pensiero. Ma così trovavo un altro ordine pieno di emozioni e che parlava meglio il mio linguaggio.
L'ultima sera dell'anno cominciò a nevicare. Dalla parte del lago non si vedeva niente; si sentivano le anatre selvatiche: forse si mischiavano due branchi o si preparavano a partire. Insieme al loro grido sentivo ancora, fermo sul lago, il mio, perchè la neve conserva i rumori e le tristezze, come la paura.
Il capitalismo ha avuto vari collassi, varie crisi, perché è così, è ingordo, avido, mangia troppo, molto più di quello che può digerire e poi sta male, e naturalmente fa pagare agli altri sempre le sue sofferenze.