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« Guardo l'ora. Le sedici. Pio l'orologio che porto al polso.
Il nonno materno, quello etrusco, lo comprò negli anni Settanta, prima che io nascessi, e lo tenne per anni al polso finché non lo perse in un campo dove lavorava. Lo cercò dappertutto senza trovarlo. Si rassegnò.
Dopo tre anni era nello stesso campo. Ad arare. Ruppe una zolla e ci trovò il suo orologio. Lo caricò. Funzionava. Un orologio sopravvissuto alla terra. Lo portò con sé finché non decise di regalarmelo. Il nonno si chiamava Omero.
Sorrido, Roberta, pensando a come davvero per ogni Iliade, per ogni città in macerie, ci siano sempre un'Odissea ed una città da costruire. » (p. 103)
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« Quando papà e nonno hanno ripreso questa terra, nonno ricordava che da qualche parte vicino alla casa c'era un pozzo. L'apertura negli anni però doveva essere stata ostruita e i suoi ricordi erano troppo vaghi per mettersi a scavare in giro a casaccio.
[…]
Era proprio dietro casa e non si trattava di un pozzo, ma di una cisterna in cui convergeva l'acqua piovana raccolta dai tetti. Quando l'abbiamo riaperta e poi svuotata, al fondo ci abbiamo trovato una targa che riportava la data del 1803, l'anno in cui probabilmente è stata scavata.
Ci sono state altre due scoperte sorprendenti quel giorno. La prima è che la cisterna attraverso un cunicolo era collegata all'abitazione per permettere agli abitanti di recuperare con i secchi o con una pompa a carbone l'acqua piovana per sé e per gli animali. La seconda scoperta è stata trovare al suo interno una comunità di geotritoni, piccoli anfibi che non superano i quindici centimetri, con la coda lunga, la testa grossa e appiattita, e gli occhi sporgenti. » (pp. 76-77)
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« I boschi, furono loro a rivelarmi ciò che fin da bambino Macereto mi sussurrava ; quelle parole che mi rassicuravano anche quando ancora non le comprendevo. Parole sotto forma di mucchietti di pietre troppo piccoli per essere i ruderi di qualche costruzione passata, troppo irregolari e privi di disegno per marcare dei confini, troppo casuali per essere un'opera d'arte. Li trovavo al limitare dei pascoli, lungo vecchie piste o anche nel fitto degli alberi. Mucchietti che sembravano piccoli cumuli votivi. » (p. 48)
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