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3.45/5 (sur 11 notes)

Nationalité : Italie
Né(e) à : Venise , le 11/03/1924
Mort(e) à : Venise , le 29/08/1980
Biographie :

Franco Basaglia est un psychiatre italien.

Devenu médecin en 1949 puis psychiatre en 1959, il travaille jusqu’en 1961 à la clinique des maladies nerveuses et mentales de Padoue.

En 1961, il accepte la direction de l’hôpital psychiatrique de Gorizia, entamant ainsi un parcours qui le mènera à l’hôpital de Trieste en 1971, après un bref passage à Parme.

Franco Basaglia fut l’une des figures majeures de la psychiatrie dite alternative, non seulement en Italie, où sa mise en cause de la condition des malades mentaux dans les hôpitaux psychiatriques fut ratifiée par la loi 180 (couramment appelée « loi Basaglia ») décidant de la fermeture de ces hôpitaux et de l’organisation de réseaux soignants au cœur des cités, mais aussi dans le monde, où il amena à une interrogation sur les « traitements » généralement « infligés » aux « fous ».

Il a été marié à Franca Basaglia Ongaro (1928-2005).


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Citations et extraits (110) Voir plus Ajouter une citation
A Gorizia, il y avait un hôpital de cinq cents lits, dirigé de façon on ne peut plus traditionnelle, où les électrochocs et l'insuline étaient l'ordinaire, un hôpital où régnait la misère, cette même misère que nous rencontrons dans tous les asiles. Lorsque nous y sommes entrés, nous avons dit non : non à la psychiatrie mais surtout non à la misère.
Nous avons constaté que, dès l'instant où nous donnions des réponses à la pauvreté de l'interné, celui-ci changeait totalement de position, il devenait non plus un fou mais un homme avec lequel nous pouvions entrer en relation. Nous avons alors compris qu'un individu malade a comme première nécessité non seulement le traitement de sa maladie mais de nombreuses autres choses : il a besoin d'un rapport humain avec celui qui le soigne, il a besoin de réponses réelles regardant son être, il a besoin d'argent, d'une famille et de tout ce dont nous-mêmes, médecins qui le soignons, avons besoin. Voilà ce que nous avons découvert : le malade n'est pas seulement un malade, mais un homme avec tous ses besoins.

(Les techniques psychiatriques : instruments de libération ou d'oppression?)
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D : La sensazione che si ha dall'esterno è che voi prescindiate dalla malattia, quasi che la malattia non esista.
BASAGLIA : Non è che noi prescindiamo dalla malattia, ma riteniamo che per avere un rapporto con un individuo, sia necessario impostarlo indipendentamente da quella che puo essere l'eticheta che lo definisce. Io ho rapporto con un uomo non per il nome che porta ma per quello che è. Quindi, nel momento in cui io dico : questo individuo è uno schizofrenico (con tutto cio che, per ragioni culturali, è implicito in questo termine), io mi rapporto con lui in modo particolare, sapendo appunto che la schizofrenia è una malattia per la quale non c'è niente da fare : il mio rapporto sarà solo quello di colui che si aspetta soltanto della "schizofrenicità" dal suo interlocutore. A quindi comprensibile come - su queste basi - la vecchia avesse relegato, imprigionato ed escluso questo malato, per il quale riteneva non vi fossero mezzi né strumenti di cura. Per questo è necessario avvicinarsi a lui mettendo fra parentesi la malattia.

(Nino Vascon, Introduzione documentaria)
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Quand je suis entré pour la première fois dans une prison, j'étais étudiant en médecine. Je luttais contre le fascisme et j'ai été emprisonné. Je me souviens de la situation hallucinante que j'ai vécue à ce moment-là. C'était l'heure où l'on sortait les pots de chambre des différentes cellules. Il y avait une odeur terrible, une odeur de mort. Je me souviens avoir eu la sensation d'être dans une salle d'anatomie où l'on disséquait les cadavres. Treize ans après mon diplôme, je suis devenu directeur d'un asile ; quand j'y suis entré pour la première fois, j'ai eu la même sensation. Il n'y avait pas une odeur de merde, mais il y avait comme une odeur symbolique de merde. J'ai eu la certitude que cette institution était une institution totalement absurde.

(Analyse critique de l'institution psychiatrique)
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Non puo essere privilegio del campo ospedaliero la negazione dei ruoli, che ciascuno si troverebbe a indossare di nuovo rientrando nella società esterna: è diventato indispensabile essere allo stesso modo, dentro e fuori, non più portando dentro i "valori" di fuori, ma portando fuori l'antistituzionalismo, l'antigerarchizzazione dei ruoli, l'antidivisione del lavoro a cui l'ambiguità del nostro esser dentro ci costringe.

(Letizia Jervis Comba, C donne : l'ultimo reparto chiuso)
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- Dans les grands services hospitaliers brésiliens pour malades chroniques, les patients tendent toujours à revenir. Ils ne peuvent pas vivre à l'extérieur, il semble que ce ne sont pas les murs de l'institution qui les gardent prisonniers.
- J'ai l'impression qu'au Brésil, les malades ne veulent pas sortir de l'asile pour deux raisons. La première est une raison universelle : la personne qui est restée vingt ou trente ans dans l'asile accepte l'internement comme sa situation ordinaire. L'autre raison a à voir avec les besoins les plus élémentaires tels que boire et manger, qu'il est plus facile de satisfaire à l'asile que dans la rue. Ce fait nous oblige à une réflexion plus approfondie. Si cette personne ne veut pas sortir de l'asile, qu'elle y reste... mais notre problème est de lutter pour que cette personne ait la possibilité d'être, de s'exprimer de quelque façon que ce soit, parce que l'asile lui a supprimé cette possibilité.

(Répression et maladie mentale)
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Ma la dialettica esiste solo quando ci sia più di una possibilità, cioè un'alternativa. Se il malato non ha alternative, se la sua vita gli si presenta già prestabilita, organizzata e la sua partecipazione personale consiste nell'adesione all'ordine, senza posibilità di scampo; si troverà imprigionato nel terreno psichiatrico, cosi come si trovava imprigionato nel mondo esterno di cui non riusciva ad affrontare dialetticamente le contraddizioni. Come la realtà che non riusciva a contestare, l'istituto cui non puo opporsi, non gli lascia che un unico scampo: la fuga nella produzione psicotica, il rifugio nel delirio dove non c'è né contraddizione né dialettica...

(Franco Basaglia, Le istituzioni della violenza)
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D : Perché se il fine della comunità è quello di guarire l'ammalato e di riportarlo alla vita esterna non ci sarebbe pericolo che la comunità si chiudesse in se stessa, se arrivasse a difendere il suo componente?
FURIO : Io penso che molte persone hanno raggiunto ormai questo stato di rassegnazione; ma credo che se la società viene incontro a queste persone, in esse ritorna l'aspirazione ad uscire. Adesso è la fase dell'intervento dall'esterno verso l'interno; cioè noi abbiamo ottenuto l'apertura interna, adesso sarebbe necessario ottenere l'apertura verso l'esterno.
D : L'apertura esterna, cioè l'accettazione da parte dell'esterno dell'ammalato mentale. Secondo lei per sua esperienza, è ancora molto dura la posizione dell'esterno nei riguardi dell'ammalato mentale?
FURIO : Si, indubbiamente, i pregiudizi, nei riguardi della malattia mentale e del malato mentale sono molto diffusi e anche molto radicati. Molte volte io contesto a certi familiari che hanno certe espressioni: ma io non posso prenderlo a casa, perché ho paura; e io faccio questa contestazione: guardi, secondo me la sua paura non ha ragione d'essere, in quanto quella persona non è pericolosa affatto; non è pericolosa, perché non fa niente di pericoloso, non credo che alzar la voce ogni tanto sia un fatto pericoloso, questo succede a tutti, io credo che lei sia adagiata un po' in questa situazione di comodo e si scarica la propria coscienza dicendo: io ho paura, cioè è pericoloso, io non posso prenderlo, siamo più tranquilli cosi, io da una parte e tu dall'altra, cosi non affronta il problema. Invece abbiamo visto che quando il problema è stato affrontato sono state dimesse persone che avevano fatto dieci, quindici, vent'anni d'ospedale, ed è stato possibile dimetterle quando si è potuto aprirsi verso l'esterno, quando questo problema veniva portato all'esterno, veniva portato alla famiglia, all'esterno dell'ospedale.


(Nino Vascon, Introduzione documentaria)
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Il malato mentale è un escluso che, in una società come l'attuale, non potrà mai opporsi a chi lo esclude, perché ogni suo atto è ormai circoscritto e definito dalla malattia. E quindi solo la psichiatria, nel suo duplice ruolo medico e sociale, che puo essere in grado di far conoscere al malato che cos'è la malattia e che cosa la società gli ha fatto, escludendolo da sé : solo attraverso la presa di coscienza del suo essere stato escluso, e rifiutato, il malato mentale potrà riabilitarsi dalla condizione di istituzionalizzazione in cui lo si è indotto...

(Franco Basaglia, Le istituzioni della violenza)
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Quando c'è un rinnovamento in un reparto tutto va avanti, c'è una trasformazione ; poi ad un certo punto questo rinnovamento puo darsi che si arresti, parlomeno non ci sono più grandi novità, e quando mancano le novità manca anche la spinta ; insomma quando c'è qualcosa che si sta trasformando, c'è entusiasmo, quando si è raggiunto un determinato risultato si cercano nuovi risultati, si cercano nuove trasformazioni, qualcosa di completamente nuovo ; se si ritiene invece che i risultati siano già stati raggiunti allora praticamente ognuno si siede un po'.

(Nino Vascon, Introduzione documentaria)
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FRANCO BASAGLIA : Cio significa che non si puo eliminare la sofferenza psichica istituzionalmente, cioè settorializzandola nella categoria della malattia mentale. Quella che va affrontata è la sofferenza generale. Ma l'organizzazione sociale non puo operare in questa direzione perché solo se affronta i problemi settorialmente puo controllarli, altrimenti si distrugge. Lo Stato puo creare un'organizzazione comunitaria, l'istituzione, solo perché dà un plusvalore rappresentato dal controllo che esercita.
FRANCA BASAGLIA : E anche dai posti-lavoro che offre...
FRANCO BASAGLIA : E il posto-lavoro è plusvalore organizzato.
SALVATORE TAVERNA : Ma allora, anche chiudendo l'istituzione, rimane il problema sul piano sociale?
FRANCO BASAGLIA : E qui che diventa "il problema". Passa cioè a un nuovo livello : nel momento in cui si affronta il problema della casa, del salario, del lavoro che non ci sono, ci si trova a occuparsi proprio della sofferenza. E questo è il punto centrale del nostro discorso, a quindici anni di distanza.

(La nave che affonda)
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