GINO ACCURSO : Io sono entrato all'ospedale di Gorizia, subito dopo l'arrivo di Basaglia. In quel tempo l'ospedale era chiuso e io, vedendo le persone ricoverate, ritenevo giusto che i matti stessero in manicomio, essendo questo il posto adatto per loro. Sono poi cominciate, mano a mano, le dimissioni, le visite in famiglia e sono sorti anche i primi problemi. Io, in quel periodo, trovavo sbagliato che i malati stessero fuori dall'ospedale e disturbassero la gente. [...] Contemporaneamente pero si stava attuando in ospedale un nuovo tipo di lavoro. Attraverso assemblee e riunioni, si capiva sempre più che le persone rimanevano in ospedale non solo a causa del modo di pensare della popolazione della città, che al limite non conosceva tante cose e che quindi era più giustificabile, ma anche a causa del modo di pensare di noi, che lavoravamo in ospedale. E man mano capivamo che forse era proprio una certe atmosfera cio che impediva alle persone di stare in altri posti che non fossero l'ospedale psichiatrico.
WANDA MUCCIARELLI : D'altra parte, allora, non esisteva un modo diverso di concepire l'ammalato di mente !
GINO ACCURSO : Progressivamente sono cosi maturate in me delle convinzioni completamente nuove... Ho visto che stando fuori, in un atteggiamento diverso, il malato non era molto dissimile da noi. La sua era semplicemente la reazione al fatto che veniva trattato male ovunque : in famiglia, nel lavoro e nello stesso ospedale. [...] Era, per l'appunto, una reazione a tutta l'ostilità che stava intorno ai ricoverati.
(Nell'ospedale psichiatrico)
LUIGI CANCRINI : Lavorando nell'università, cioè nel formare i futuri mediatori, tu operi dunque una scelta importante : puoi continuare a insegnare la psichiatria semplice e chiara da Kraepelin e delle industrie farmaceutiche, una moderna e più o meno brillante ipotesi "riformista", oppure installare dubbi, sete di nuove conoscenze, incertezza e ricerca di nuovi modelli dentro a tutti coloro che funzioneranno, poi, da mediatori della cultura (gli insegnanti, i medici, gli psichiatri...).
(Per una alternativa al sapere psichiatrico)
FRANCO BASAGLIA : Il vero problema, tuttavia, è un altro : è sapere se Trieste è una situazione isolata o se invece è una situazione inserita in un gioco generale. Il vero problema è capire se Trieste, già oggi, prefigura un qualchecosa di veramente alternativo, oppure no ! Per molto tempo ho pensato che Trieste potesse essere stata anche un errore. Pensavo che, probabilmente, fosse qualche cosa difficile da afferrare e che difettasse di una sua struttura. Poi, invece, mi sono accorto che Trieste aveva un significato che andava molto al di là della stessa linea elaborata, a suo tempo, a Gorizia.
(Dopo l'ospedale nel territorio)
FRANCO BASAGLIA : Direi che Trieste è stata la veloce applicazione di cio che avevamo già fatto a Gorizia, ma è stata anche il tentativo di sostituire a tale operazione qualche cosa di più vicino alla nostra ipotesi pratica di superamento del manicomio. Per i rapporti stessi che c'erano con il potere politico, a differenza di Gorizia, la distruzione del dell'ospedale di Trieste non poteva che significare se non la costruzione continua di qualche cosa di alternativo.
(Dopo l'ospedale nel territorio)
Parlare di una psichiatria alternativa vuol dire, in sostanza, esprimere la contraddizione fra due parole antagoniste. La psichiatria infatti non può essere "buona" o "cattiva", "repressiva" o "liberatoria" : essa, nella sua essenza, rappresenta sempre l'atto di rifondazione di una norma, conformemente alle esigenze della organizzazione sociale dominante. In quanto tale, quindi, la psichiatria non può essere alternativa, né a se stessa, né, tanto meno, al potere socioeconomico di cui è emanazione. Ecco perché bisogna parlare, piuttosto, di una alternativa alla psichiatria.
(Per una alternativa al sapere psichiatrico)